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LOMBALGIA CRONICA

ARTICOLO A CURA DI VALERIO AMICO, FISIATRA.

La lombalgia, il comune mal di schiena, (in letteratura anglosassone low back pain, LBP), è una patologia idiopatica ricorrente che colpisce il tratto lombare della colonna vertebrale, caratterizzata da dolore, in sede lombare e dorso-lombare, e limitazione funzionale non attribuibile ad una condizione patologica specifica (non-specific LBP).
La lombalgia comune non specifica rappresenta, secondo la letteratura corrente, il 90% circa di tutte le forme di lombalgia: è il disturbo osteoarticolare più frequente, interessando il 50% degli adulti in età lavorativa, di cui il 15-20% ricorre a cure mediche; ed è la causa del 3.5% degli accessi medici totali al Servizio di Medicina Generale. Un individuo altrimenti sano si trova nell’80-90% dei casi a soffrire almeno una volta nella vita di dolore lombare, con importanti ripercussioni economiche sull’attività lavorativa.

Secondo la definizione emersa nella revisione sistematica prodotta da Jill Hayden et al., pubblicata della Cochrane Collaboration nel 2005, il dolore lombare è un “dolore localizzato a valle della scapola fin sopra il solco intergluteo con o senza irradiazione, con dolore della radice o dolore sciatico” Jill Hayden et al. hanno incluso nella definizione solo le forme aspecifiche di Low Back Pain, trascurando quelle specifiche, cioè secondarie a infezioni, neoplasie, aneurisma dell’aorta addominale, patologie dell’apparato uro-ginecologico, sindrome della cauda equina, metastasi, osteoporosi, artriti reumatoidi o fratture.

In base alla durata della sintomatologia, l’American College of Physicians distingue la lombalgia in acuta (la durata della sintomatologia algica non deve superare le 4 settimane), subacuta (dolore che permane dalle 4 alle 12 settimane) e cronica (dolore mantenuto per un periodo superiore alle 12 settimane).

Il dolore d’origine mio-fasciale è tra le cause più comuni del dolore lombare; in altre circostanze il dolore risulta attribuibile a meccanismi patogenetici differenti: è questo il caso del dolore radicolare, del dolore della faccetta articolare, del dolore dell’articolazione sacro-iliaca, del dolore del disco intervertebrale e del dolore da stenosi del canale spinale. Una precisa valutazione diagnostica è necessaria al fine di indicare il trattamento più appropriato.

È ampiamente riconosciuto che in una condizione di dolore cronico le patologie secondarie o le conseguenze di questo, tra cui la paura del movimento, l’anticipazione del dolore, l’ansia e la sensibilizzazione del sistema nervoso, contribuiscano maggiormente alla percezione del dolore stesso e alla disabilità che ne deriva.

DIAGNOSI: CRITERI E PRASSI DIAGNOSTICHE

La prima tappa del percorso diagnostico e terapeutico di un malato con sintomatologia dolorosa è quella di escludere condizioni patologiche gravi, che non rientrano nella categoria del dolore cronico benigno e che sono suscettibili di terapie specifiche. Per questo sono stati individuati una serie di segni e sintomi da indagare sempre durante la valutazione di un paziente con lombalgia, definiti red flag. Questi comprendono:

  • Dolore a recrudescenza notturna
  • Alterazioni dello stato generale
  • Febbre di ndd, immunosoppressione, tossicodipendenza
  • Anamnesi positiva per neoplasia, perdita di peso non giustificata
  • Anestesia a sella, disturbo minzionale
  • Uso prolungato di steroidi
  • Deficit neurologico progressivo
  • Brusca comparsa del dolore senza un trauma
  • Età > 65aa o < 20aa
  • Persistenza o esacerbazione del dolore malgrado i trattamenti.

Nel caso in cui un paziente presenti questi sintomi va indirizzato verso un percorso diagnostico e terapeutico specialistico, nel sospetto di patologia neoplastica, fratture vertebrali, aneurisma dell’aorta addominale, stenosi del canale midollare/sindrome della cauda e infezioni.

Un volta escluse le red flag, la raccolta dall’anamnesi si concentra sulle caratteristiche del dolore, sulla sua localizzazione, sull’eventuale irradiazione o diffusione ad altre aree del corpo, e sui fattori che lo influenzano, come l’orario di insorgenza, la correlazione con il movimento e il riposo e la risposta ai farmaci. Per quanto riguarda la valutazione dell’intensità del dolore si utilizza di norma una scala numerica che va da 0 a 10, in cui a 0 corrisponde nessun dolore percepito e a 10 il massimo dolore che il paziente possa immaginare. Il valore, essendo soggettivo, non ha significato assoluto o comparativo tra due persone, ma solo nella stessa persona prima e dopo un atto terapeutico.

Successivamente si esegue un esame obiettivo volto alla valutazione dell’area del dolore. In particolare, ci si concentra su localizzazione dell’area dolorosa e sull’ispezione della superficie cutanea alla ricerca di anomalie della temperatura cutanea, arrossamenti, tumefazioni, lesioni trofiche, cicatrici. Viene esaminata la postura e la mobilità del rachide in tutte le direzioni (flesso-estensione, lateroflessione e rotazione), la presenza di dolore alla palpazione delle spinose o dei tessuti paravertebrali, e vengono eseguiti test specifici che possono indicare una sofferenza della radice nervosa.

Infine, va valutata la presenza di deficit sensitivo/motori periferici, anch’essa segno di radicolopatia. Viene esaminata la forza dei principali muscoli degli arti inferiori, in particolare quadricipite, tibiale anteriore, estensore comune delle dita, estensore proprio dell’alluce, peronieri, tricipite della sura e flessori delle dita. La forza va confrontata con la gamba controlaterale ed espressa con la scala MRC che va da 1 a 5. L’esame della sensibilità tattile, termica e dolorifica, così come i riflessi osteo-tendinei vanno a concludere la valutazione dell’integrità del sistema somato-sensoriale nella trasmissione delle afferenze periferiche (dolorose e non solo) e l’eventuale sensibilizzazione dei nocicettori o dei neuroni spinali, responsabili del fenomeno dell’allodinia.

Non in tutti i casi di dolore lombare è indicato un approfondimento diagnostico strumentale. Nel caso, le principali indagini da eseguire sono:

  • RX AP e LL in statica (poco costoso, bassa quota radiazioni) ed in dinamica per valutare la stabilità dei somi vertebrali
  • RM (lunga durata, costo elevato), per la valutazione dei tessuti molli, in sospetto di ernia discale
  • TC (breve durata, alta sensibilità, costo elevato, alta quota di radiazioni) per la valutazione del tessuto osseo, in sospetta frattura o neoplasia
  • EMG/ENG – esame funzionale diretto qualificativo e quantificativo della lesione nervosa.
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TRATTAMENTO

L’obiettivo primario del trattamento di un paziente con lombalgia/lombosciatalgia cronica è la riduzione del dolore al di sotto della soglia di interferenza (cioè della soglia di intensità del dolore al di sopra della quale il dolore interferisce significativamente con le attività della vita quotidiana), parallelamente alla riduzione della disabilità che normalmente si associa alle patologie dolorose croniche.

Le opzioni terapeutiche spaziano dalla terapia farmacologica, all’esercizio terapeutico, alla terapia comportamentale, fino ad arrivare a procedure più invasive destinate ai casi di dolore refrattario.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica ci si basa di norma sui criteri forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per affrontare la scelta del farmaco in modo razionale. Secondo questa scala il dolore viene distinto in:

  • Dolore lieve moderato: farmaci di prima scelta sono paracetamolo, FANS, oppioidi deboli.
  • Dolore moderato grave: farmaci oppiacei, di cui tipo, dosaggio e formulazione dovrebbero essere valutati per ogni caso specifico.

Esiste anche la possibilità di usare farmaci privi di effetto analgesico ma che funzionano da adiuvanti nel paziente con dolore cronico, in associazione a quelli sopra citati. Questi agiscono secondo altri meccanismi d’azione, che spesso sono alla base della persistenza dello stimolo nocicettivo cronico e che quindi sono in grado di inibire questo circuito alternativo. Tra questi rientrano: carbamazepina, antidepressivi triciclici e non, gabapentinoidi, clonazepam, miorliassanti e corticosteroidi.

La terapia farmacologica è utile quindi per ridurre o eliminare il sintomo dolore. A questo punto interviene l’esercizio terapeutico, che è il cardine del trattamento del dolore cronico.
Tutte le più recenti linee guida sono concordi nel ritenerlo significativamente utile nella riduzione del dolore e nel miglioramento della funzionalità, tanto da raccomandarlo con forza.
Anche la terapia manuale, sia che si tratti di manipolazioni vertebrali, sia che si tratti di mobilizzazioni articolari o del trattamento dei tessuti molli, viene raccomandata in caso di LBP cronico.

Il paziente che soffre di dolore cronico lombare è generalmente decondizionato a livello fisico. Il dolore limita il movimento e l’autonomia, condizione che porta a uno stile di vita più sedentario. Muovendosi di meno per provare meno dolore, il paziente perde massa muscolare, anche relativamente alla muscolatura paravertebrale, la quale non è più in grado di sostenere la colonna nel modo adeguato. L’ipotonia e l’ipotrofia della muscolatura paravertebrale rendono più ‘debole’ la colonna lombare, che diventa quindi più sensibile agli stimoli nocicettivi, attraverso un meccanismo di autoalimentazione del dolore cronico.

L’obbiettivo della rieducazione funzionale del paziente con LBP è di spezzare questo circolo vizioso.

Innanzitutto, è stato ipotizzato da diversi studi un fenomeno definito ipo-analgesia indotta dall’esercizio, in quanto esistono lavori che documentano come l’esercizio riduca la sensibilità agli stimoli dolorosi in soggetti sani. Anche nei soggetti che soffrono di patologie dolorose croniche, come ad esempio la fibromialgia, è stato riscontrato un effetto di ipo-analgesia indotta dall’esercizio fisico, quando questo sia di intensità lieve-moderata.

Inoltre, come anticipato, nel paziente che soffre di dolore cronico lombare, la ridotta mobilità conseguente alla limitazione antalgica, porta a un minor utilizzo dei muscoli che sostengono la colonna, con conseguente ipotrofia e debolezza degli stessi, sviluppando contratture che aggravano la sintomatologia dolorosa.
Il programma di esercizio terapeutico dovrebbe inizialmente concentrarsi sul ridurre la rigidità e lo spasmo muscolare che limita il movimento, per migliorare l’articolarità e l’elasticità dei tessuti. In una seconda fase il focus è invece il recupero della forza e della resistenza di quei muscoli che sono stati utilizzati poco e che risultano indeboliti, per garantire un recupero funzionale completo.

Nella pratica clinica non esistono linee guida univoche da applicare al paziente con dolore lombare cronico, così come non esiste un tipo specifico di esercizio terapeutico che da solo garantisca risultati sicuri e duraturi nel tempo. Infatti, non è tanto il tipo di esercizio, quanto l’esercizio fisico stesso che è in grado di alterare e di modulare il meccanismo alla base del dolore cronico. È quindi fondamentale che il paziente partecipi attivamente al trattamento e che si renda conto che il miglior esercizio è quello che si fa.

Da parte del medico è altrettanto fondamentale tenere in considerazione le capacità e le preferenze del paziente, al fine di garantire la migliore compliance possibile al trattamento.

Non si tratta quindi di un atto di semplice prescrizione medica. Per migliorare il recupero funzionale il paziente deve essere motivato ed educato non solo all’esercizio terapeutico, ma anche a cambiare abitudini, in modo da migliorare la sua qualità di vita e prevenire gli episodi di riacutizzazione. Il concetto dell’approccio multimodale al trattamento, che prevede una valutazione e un progetto terapeutico non solo del problema specifico relativo al dolore lombare, ma all’intera persona, è la chiave per il management efficace del LBP.

Il programma riabilitativo per un paziente che soffra di dolore cronico può anche avvalersi di terapie fisiche non invasive, mirate al meccanismo patogenetico alla base della sintomatologia dolorosa. Le principali utilizzate sono:

  • stimolazione elettrica transcutanea
  • laser terapia a bassa intensità
  • termoterapia esogena ed endogena
  • tecniche di desensibilizzazione cutanea.

Infine, considerando anche l’importante aspetto psicologico del dolore cronico, un approccio di trattamento biopsicosociale che riconosca e affronti le variabili biologiche, psicologiche e sociali del dolore e della disabilità correlata, è attualmente visto come l’approccio più efficace al dolore cronico. Il punto centrale di questo trattamento cognitivo-comportamentale è far comprendere al paziente che la guarigione è un processo attivo che solo lui può compiere, e che il medico lo può guidare e aiutare. In questo percorso deve essere compreso un momento di educazione del paziente per mantenere e migliorare i risultati raggiunti a breve/medio termine, prevenire le recidive, affinare le capacità residue ai fini del reinserimento in ambito familiare, sociale e lavorativo portando di fatto a un miglioramento generale della qualità della vita.

In quei pazienti resistenti a questo approccio più conservativo del trattamento del dolore, esiste la possibilità di sfruttare metodiche cosiddette più invasive. Le tecniche invasive sono utilizzate quando le opzioni farmacologiche non offrono un’analgesia adeguata o inducono effetti collaterali insopportabili. Le principali tecniche mini-invasive utilizzate sono:

  • infiltrazioni paravertebrali o peridiscali con ossigeno-ozono terapia
  • infiltrazioni periforminali con derivati cortisonici
  • blocchi perinervosi delle faccette articolari con farmaci anestesitici e la neuromodulazione con radiofrequenza pulsata.

In conclusione, la gestione del LBP dovrebbe, comunque, prevedere un approccio multidisciplinare, nel cui contesto andrebbe inserita un’attenta valutazione delle condizioni psicologiche e sociali del paziente.

Valerio Amico fisiatra clinica casa di cura gretter catania

Valerio Amico, fisiatra.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  1. Riferimenti bibliografici
    “Il dolore cronico in Medicina Generale” AGENAS 2013
  2. “Linee guida ed evidenze scientifiche in Medicina Fisica e Riabilitativa” Santilli V – 2017
  3. “The Management of Pain” Bonica II edition
  4. “A meta-analytic review of the hypoalgesic effects of exercise” Naugle KM et al. J Pain – 2012
  5. “Exercise for chronic musculoskeletal pain: a biopsychosocial approach” Booth J et al. Musculoskeletal Care – 2017